Come fare della Sicilia un romanzo, ovvero la mia seconda vita siciliana

di Sandro Russo

Ci sono posti, paesi nel mondo che naturalmente mi attraggono; altri che mi respingono. Per esempio non sono mai voluto andare negli Stati Uniti, tranne che per un obbligato passaggio per Miami, sulla via per il Costarica. L’Oriente mi attira; mi ci trovo bene: una sorta di affinità “naturale”, appunto.
La Sicilia mi è molto congeniale, per un’antica dimestichezza con l’ambiente, la sua gente, quel modo di parlare. Come se fossi stato siciliano prima ancora di venire in Sicilia.

E spesso ci sono venuto, le prime volte attraversando mezza Italia e facendo l’esperienza del traghetto, più volte per nave da Napoli a Palermo; più di recente in aereo.
Un altro accesso alla Sicilia sono state alcune persone importanti della mia vita, in momenti diversi: due donne che ho amato erano di origine siciliana e avevano quelle peculiarità stratificate nel loro modo di essere, che in qualche modo mi sono state trasferite. Così come altri miei amici e amiche degli anni da studente e all’Università; uno di loro, Roberto, mi ha attirato addirittura in Indonesia dove aveva casa e una nuova famiglia. I siciliani hanno molte più proiezioni internazionali, rispetto ai calabresi, che pure ho conosciuto bene. Più di recente, da anni, nel giro delle persone con cui ho rapporti stretti, molti sono scrittori e poeti, per piacere o per lavoro. Spesso negli incontri si parla della Sicilia e si mangia ‘siciliano’.
Ma andando più indietro, nella mia infanzia isolana a Ponza, ho incontrato la Sicilia nella parole e negli occhi dei pescatori locali che pur nell’orgoglio di padroni dell’arte della pesca, decantavano l’abilità dei ‘siciliani’ come maestri del campo, mentre avevano rapporti anche amichevoli, ma di tutt’altro genere, con i sardi.

Andando per mare, non si può dimenticare che la Sicilia è un’isola. Ho ricordi indelebili di almeno due estati successive con la barca che spartivo con due soci – più bravi di me che pure avevo preso la patente nautica – tra un’isola e l’altra delle Eolie.
E ancora Pantelleria, l’isola del vento, teatro di un’altra vacanza memorabile.

Ma l’affinità si è rivelata nel corso degli anni attraverso aspetti più astratti dell’essere siciliani. Dopo una breve infatuazione per il ‘calabrese’, ai tempi della ‘Casa dello Studente’ (cosa che il mio amico Tano ogni tanto mi rimprovera, in modi ‘colorati’), mi sono definitivamente orientato verso il dialetto siciliano, e mi risuonano in testa i stranizzi d’amuri e la duminica jurnata di sciroccu / fora nun si pô stari… (1)(2). Parole e musica per le mie orecchie!

Perché il dialetto… Ah! il dialetto!
Lo dice Ignazio Buttitta (3), non io:

Un populu
mittìtilu a catina
spughiatilu
attuppatici a vucca
è ancora libiru.

Livatici u travagghiu
‘u passaportu
‘a tavula unnu mancia
‘u lettu unnu dormi,
è ancora riccu.

Un populo
diventa poviru e servu
quannu ci arrubbano ‘a lingua
addutata d’i patri:
è persu pi sempri.

(….)

Con Tea Ranno, scrittrice siciliana brava che vive a Roma, mia amica, scherziamo spesso sul fatto di essere uniti nella sicilianità – lei lo è per davvero, è nata a Melilli (SR) – per aver letto entrambi Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo, uno dei più grandi romanzi del Novecento, che è stato letto da pochi (4).
Dei grandi nomi della letteratura siciliana neanche parliamo, per quanto hanno influenzato il modo di vedere la Sicilia di ciascuno di noi.

E sulla stessa lunghezza d’onda – senza voler fare citazioni, ma siamo fatti di immagini che diventano universali – rivivo la Sicilia messa in scena da Visconti (che siciliano non era) sulla vita grama dei pescatori di Aci-Trezza: ne La terra trema ispirato a I Malavoglia di Verga, recitato interamente in dialetto da attori non professionisti. E nel volto di Claudia Cardinale nel ballo de Il Gattopardo.
Anche nelle accorate parole del proiezionista Alfredo (Philippe Noiret) di Nuovo Cinema Paradiso a Totò che ormai si è fatto grande: – Vattinni! Non tornare mai più! – con tutto quel che c’è dietro.
E per dirla tutta, la Sicilia dell’immaginario è anche nel modo di parlare e nella gestualità de Il Padrino, Vito Corleone e in Salvatore Giuliano di Rosi, più che nei moderni Mafia movies.

Torno in Sicilia anche per risentire gusti e profumi che fanno parte di me. Li rievoco spesso, nel posto dove vivo, ma qui hanno un’altra intensità.
La gastronomia siciliana, la pasticceria della pasta di mandorle, i pistacchi di Bronte, i cannoli con la ricotta, il cioccolato di Modica e sul versante “salato” gli sfincioni’u pani cu’a mèuza, le panelle, la pasta con le sarde e il finocchietto; i capperi di Pantelleria, ’u pane cunzatu; le sarde ‘a beccafico’ e la pasta ‘con le alici a mare’… queste due ultime sottili irrisioni della cucina povera nei confronti di quella dei ricchi. E tante ce ne sono!

E piaceri per la vista l’olfatto e il gusto, le piante e i fiori che ho trasferito anche da me, ma qui vegetano rigogliosi e senza doverli stare a proteggere: la jacaranda, la plumeria (Plumeria alba, che qui chiamano frangipani), la gaggia (Acacia farnesiana), i frutti esotici acclimatati e coltivati in Sicilia: papaya, mango e annona, tra i più recenti.

Dopo questo brevissimo prologo, ma con queste tracce in mente che ho voluto ricordare soprattutto a me stesso, il viaggio può cominciare…