Un safari musicale
Viaggio tra i suoni del Senegal
testo di Guido Mariani - Foto di Vincenzo Cammarata/FOS
Che cosa ci fa un musicista sardo nel cuore dell’Africa? Sembra l’inizio di una barzelletta e invece è l’inizio di un’avventura. Viaggio al seguito di un’associazione artistica (cherimus.blogspot.com) il cui compito è di trovare dei musicisti senegalesi e convincerli a collaborare con altrettanti musicisti sardi per preparare un disco e un concerto, che si terrà a Dakar il prossimo maggio. È una missione difficile, ma non impossibile: l’Africa occidentale è uno straordinario archivio sonoro, scrigno di una tradizione multiforme che ha saputo contaminarsi e rendersi sempre più attuale.
Il primo passo è obbligato. La parola d’ordine è “Youssou N'Dour”, quando si parla di musica qui si inizia a parlare sempre di lui, è l’immagine del Senegal nel mondo e il cittadino di Dakar di cui tutti sono più orgogliosi. Ha diffuso la musica oggi più amata, lo mbalax, un genere che nasce dalle culture tribali, ma si contamina con pop, soul e ritmi latini; una musica che si balla, ma che serve anche a raccontare storie e a diffondere messaggi politico-sociali. Youssou N'Dour è oggi un uomo d’affari, possiede una radio e una televisione ed è sempre più attivo in politica. Per tutti è uno che ce l’ha fatta e non si è dimenticato degli altri. È nato in un quartiere popolare, ha avuto successo all’estero, ma è tornato comunque a casa, a Dakar.
L’onnipresente mbalax riempie le frequenze di tutte le radio ma anche le tradizioni più antiche sopravvivono. E sono queste che cerchiamo ora. Tra le case basse in mattoni del quartiere di Yoff, nel nord di Dakar, è meglio avventurarsi solo se accompagnati, non tanto per ragioni di sicurezza, quanto perché nei vicoli sabbiosi è facile perdersi; è qui che vive un’interprete degli ancestrali riti di guarigione attraverso la musica. La incontro nel suo piccolo salotto, ha l’aspetto orgoglioso e fiero di una custode di un segreto iniziatico. Ci spiega come questi riti siano il seme della cultura africana e siano stati esportati attraverso gli schiavi in tutto il mondo: nei Caraibi divennero il voodoo, in Europa si ritrovano nelle musiche e nei balli per esorcismi. L’atmosfera è ipnotica e sembra di andare indietro nel tempo ma poi entra un uomo in giacca e cravatta, cellulare in mano, che si presenta come il suo manager e un po’ della magia svanisce.
Se la culla del voodoo è a Yoff, la culla del rap è nel cuore del centro residenziale della città. Qui si trova un piccolo studio musicale sulle cui pareti campeggia una galleria di ritratti degli eroi politici e artistici della storia africana. È la sede del marchio Positive Black Soul, gruppo hip-hop e casa discografica di Didier Awadi, treccine rasta e spirito combattente, il pioniere di un’ondata di interpreti che oggi ha tra le star il gruppo Daara J. Per alcuni il rap sarebbe nato proprio qui e in effetti nella storia senegalese i cantastorie girovaghi, i griot, spesso si esprimevano in una parlata ritmica chiamata tassou che veniva usata anche dalle donne in cerimonie tribali.
Poi perdo il filo. Cercate un musicista in Senegal e troverete mille storie. Il connubio tra riti animistici e imprenditorialità caratterizza anche lo sport nazionale senegalese, la Laamb. È una lotta combattuta in un quadrato di terra ed è regolata da un complesso rituale mistico a cui tutti i lottatori si sottopongono. Oggi il quadrato di terra è al centro di stadi affollatissimi in cui atleti mastodontici e dai nomi spesso curiosi (Tyson, Bombardier, Gris Bordeaux) si affrontano in un misto di sumo e lotta greco-romana. Il campionissimo si chiama Yekini, per il suo ultimo incontro ha ricevuto un compenso di 150.000 euro, cifra siderale a queste latitudini. Me è un idolo per i ragazzi senegalesi di oggi che sognano di diventare eroi della Laamb o star della musica.
L’occhio del viaggiatore curioso è continuamente distratto dalle donne senegalesi. Incarnano l’identità di questo Paese; sempre consapevoli del loro fascino colorano la città con abiti tradizionali ma anche con vestiti all’ultima moda che indossano su figure snelle e imponenti, come se fossero modelle in sfilata. A Dakar scopro anche un servizio taxi esclusivamente gestito da donne: si fanno chiamare Taxi Sister, sono poche ma agguerrite e il loro servizio è più puntuale e affidabile di quello dei concorrenti maschili. E una cosa è certa, qualsiasi taxi prenderete a Dakar vi accompagnerà della musica.
Alla fine tutto quadra. La musica trova sempre una sua strada e un suo linguaggio anche se si tratta di unire due posti lontani e diversi come la Sardegna e il Senegal. E così in uno dei locali più alla moda di Dakar, L’Endroit, sul palco parte un’improvvisata jam italo-africana, o meglio sardo-senegalese. Il pubblico, che nell’attesa si è stordito con una overdose di partite di Champions League, appare prima distratto, poi applaude felice. C’è alchimia, c’è energia: missione compiuta, abbiamo una band.
Si può tornare a casa. Anzi no, restiamo bloccati nel solito estenuante ingorgo stradale. D’altronde a Dakar non ci sono semafori, o meglio c’erano, ma oggi non ci sono più. Ad alcuni incroci giacciono divelti sul terreno quasi fossero stati giustiziati per aver imposto delle regole che qui non servono; il traffico si regolamenta da solo in base a leggi della casualità e in base alla destrezza e alla convinzione dei guidatori. Ma oggi qualcosa dev’essere andato storto. Uno strillone vende ai passeggeri delle auto in coda una copia del quotidiano locale - L’Observateur - che a titoli cubitali annuncia la notizia del giorno “Sordido affare: scandalo sessuale all’ambasciata italiana”. Certe cose non cambiano mai. E questa volta non si tratta dell’Africa.