Lo straniero gentile
In viaggio scopriamo di aver bisogno del prossimo
di Claudio Visentin (immagini e didascalie di Stefano Faravelli)
Articolo tratto da Azione nr 52 del 21 dicembre 2015
Quando viaggiamo appena un poco fuori rotta, senza la sicurezza di un albergo o di un villaggio turistico, è inevitabile trovarsi prima o poi in difficoltà. Tutto è diverso, tutto ci è estraneo, tutto dev’essere imparato; le più banali occupazioni quotidiane, come trovare un indirizzo o prendere un autobus, possono rivelarsi ostacoli quasi insormontabili.
In quei frangenti avremmo bisogno di aiuto, ma lontano da casa siamo spesso diffidenti. Dopo tutto il viaggiatore non ha il tempo né gli strumenti per distinguere buoni e cattivi: quella persona dall’aspetto così gentile e premuroso potrebbe essere un truffatore o un rapinatore ben noto ai suoi concittadini…
Eppure tutte le volte che ho toccato il fondo, che mi sono perduto lungo un sentiero sconosciuto, che mi sono trovato senza riparo, senza cibo o denaro, è spuntato fuori qualcuno che si è preso cura di me, che mi ha aiutato, ospitato, sfamato, trasportato al sicuro: uno straniero gentile. Con notevole senso teatrale, lo straniero gentile appare dal nulla nel momento di massimo bisogno, senza farsi annunciare, risolleva lo sventurato e poi svanisce senza chiedere o accettare ricompense.
Lo straniero gentile incarna la figura evangelica del buon samaritano. Conoscete la storia. Un viaggiatore diretto a Gerico cade nelle mani dei briganti, che lo spogliano di tutto e lo lasciano mezzo morto. Un sacerdote di passaggio finge di non vederlo e tira dritto, così come poco dopo un servitore del tempio. Ma in suo soccorso giunge un samaritano, cioè uno straniero mal visto dagli Ebrei; solo il samaritano lo soccorre premurosamente e rimane con lui, sino a quando non è certo che sarà curato adeguatamente.
Lo straniero gentile esprime nei suoi gesti la fondamentale verità della comune appartenenza al genere umano, nella sua forma più elevata. Dopo tutto ci aspettiamo che i nostri amici e familiari siano gentili, così come mettiamo in conto la brutalità dei nostri nemici. Ma la gentilezza degli sconosciuti ci sorprende sempre con la sua purezza e il suo disinteresse.
Lo straniero gentile appartiene a tutti i popoli e lo si incontra in ogni Paese, anche in quelli economicamente più arretrati, dove la società tradizionale custodisce le regole dell’ospitalità. È indifferentemente maschio o femmina, giovane o vecchio, ricco o povero, una persona importante o uno degli ultimi. Aiuta per quel che può, ma sempre con lo stesso spirito.
Con l’aiuto del pittore e viaggiatore Stefano Faravelli, abbiamo voluto raccogliere storie di stranieri gentili nei più diversi Paesi del mondo.
Lo straniero gentile è spesso anonimo: pochi nomi restano impigliati nel ricordo, perché magari nella concitazione non c’è stata neppure la possibilità di presentarsi. A volte si trova solo il tempo per un “What’s your name?”, strappato in extremis. Ecco alcuni nomi che ho affidato al mio taccuino per far sapere al samaritano che non sarà dimenticato: moneta di gratitudine nella banca della memoria.
Ecco Yogeshvar il sorridente, incontrato nella bolgia da The Day After della New Delhi Railway Station.
Non ero riuscito a trovare neppure la banchina e mi sentivo come una formica in quella città di ponti sospesi, di traversine di acciaio, di treni sferraglianti. Lui con il garbo di un gentleman mi ha avvicinato e mi ha chiesto se ero in difficoltà. Gli ho mostrato il biglietto con tanto di prenotazione: l’ultimo disperato tentativo per non perdere il mio treno, il 2903 diretto ad Amritsar. Prendendomi per mano si è tuffato nella moltitudine compatta e vociante, tra facchini a piedi nudi e carretti carichi di masserizie. “Chalo! Chalo!”, “Via! Via!” gridava.
Mi ritrovai con i vestiti appiccicati alla pelle, zuppi di sudore, depositato al sicuro sulla carrozza giusta.
Ecco Lynette di Boston, conosciuta al gate dell’Aeroporto di Pechino. Dopo un’estenuante giornata di attesa, alla ferale notizia – quando ormai è notte! – che il nostro volo per Dunhuang è stato CANCELLATO, Lynette si arma della Carta dei Diritti del passeggero (che io ignoravo) e ottiene dalle autorità aeroportuali di aggregarmi al gruppo americano. Mi sarà concesso anche il pernottamento nello strepitoso Long Guan Hotel, dove il tempo si è fermato agli anni di Mao. Nel mio taccuino resta solo l’immagine delle sua mani, mentre mi mostra un paio di scarpine tradizionali femminili, souvenir del suo viaggio cinese.
Ecco la materna Kyoko, una sera di novembre a Osaka. Kyoko mi vede in evidente difficoltà mentre armeggio con un bancomat, da straniero doppiamente analfabeta, sia per quanto riguarda la tecnologia che il giapponese. Mi accompagna in un negozio della catena 7-Eleven dove troverò bancomat abilitati al prelievo internazionale, a quel tempo rari in Giappone.
Ecco Mohammed il bello, sotto il sole a picco del Sahara, nel Sud marocchino, in un paesuccio a pochi chilometri da Goulmima. Mohammed mi incontra mentre cerco inutilmente cibo per la mia famiglia affamata: non ci sono ristoranti, non ci sono negozi di alimentari, neppure un banchetto, neppure un suk! Mohammed risponde alla nostra richiesta di informazioni con un laconico “Suivez-moi”. Ci conduce a casa sua e nel “salotto-stanza da letto”, distesi su cuscini kitsch in compagnia della nonna sdentata, ci offre il più meraviglioso dei pasti, che la madre velata e sorridente ha cucinato per noi. Mai dimenticheremo quei batbout caldi all’olio di oliva con il thè alla menta!
Quella volta fui in grado di risarcire per il beneficio ricevuto. Citai a memoria il celebre Hadith Qudsi, eco islamica al noto versetto del Vangelo di Matteo: “Allâh, il Giorno della Resurrezione dirà: ‘O figlio di Adamo: ti ho chiesto da mangiare e non Mi hai dato da mangiare’. L’uomo dirà: ‘O Signore, e come avrei potuto darTi da mangiare quando Tu sei il Signore delle creature?’ Egli dirà: ‘Il tale ti ha chiesto da mangiare, e non gli hai dato da mangiare. Non sapevi che se tu gli avessi dato da mangiare avresti trovato che ciò era per Me?”.
Gli occhi di Mohammed da grandi si fecero grandissimi, il sorriso se possibile ancora più sfolgorante. Così accade quando ci si incontra lungo le carovaniere invisibili dello spirito. La pagina di un libro diventa un ponte tra mondi lontani e svela un segreto che entrambe le sponde hanno bisogno di ricordare.
Penso spesso a quel ragazzo quando incontro altri Mohammed ai semafori delle nostre città, a vendere accendini o pulire vetri nel traffico. Quanti europei oserebbero un “Suivez-moi” portandosi a casa lo straniero? Cosa risponderanno ad Allâh, nel Giorno della Resurrezione?