Due uomini in barca

testo e foto di Martina Colombo

Due uomini in barca (foto di Martina Colombo)

Due uomini in barca, Giacomo e Jacopo; sul Tamigi, ovviamente. Ma per trovare loro devo trovare Clodia, la loro barca. So che è una Ness Yawl di cinque metri e mezzo, come quella che usano i pescatori delle Shetland, da spingere a remi o affidare alla vela. È stata costruita a Venezia da Roland Poltock, ma adesso dovrebbe essere in Inghilterra già da qualche giorno. “Henley On Thames. Henwood & Dean, di Henwood Colin.”Questo è il laconico sms di Giacomo, quando dalla stazione di Paddington lo incalzo per sapere per dove devo prendere il treno. Colin Henwood è uno dei più grandi costruttori e restauratori di barche in legno del mondo, devo solo trovarlo. Peccato che a Henley On Thames, cittadina nella campagna inglese, nessuno sembra conoscerlo. Chiedo a tutti quelli che incontro - ma quanti pochi cristiani vivono qui? - fino a che un distinto signore con una bastardina al guinzaglio tira fuori dal cilindro il cellulare del fantomatico Colin. Quando mi risponde, la prima cosa di cui devo rendere conto è come faccio io - io chi, poi? - ad avere il numero del suo cellulare personale. “Sto cercando la barca di due veneziani - e anche i due veneziani naturalmente - che dovrebbe essere al suo cantiere. La barca si chiama Clodia. I due veneziani sono Giacomo De Stefano e Jacopo Epis. Man On The River è il nome del progetto. Stanno per partire da qui, diretti a Istanbul a remi e vela lungo i grandi fiumi europei…” Mi fermo un attimo, devo dargli l’impressione di una pazza. Di là, silenzio: lui sta aspettando di sapere come ho avuto il suo cellulare. “Ho fermato un signore per strada”, riprendo a dire. “Non so neanche io come abbia fatto…”.  Mi dispero, ci crede. “Colin Henwood sono io. Ora, non so di questa Clodia, con tutte le barche che abbiamo da noi …”, ma mi dà comunque un appuntamento.

In Market Square conosco Colin. Come tutti i veri grandi, è un uomo alla mano. Al suo cantiere ci andiamo a piedi, perché da quando la chemio gli lascia un po’ di energie, lui le usa per camminare nell’erba lungo il Tamigi. Giacomo mi chiama. “Dove sei?” “Sono con Colin Henwood. Stiamo venendo da lui, da voi.” “Ma noi non siamo da Colin Henwood”. “Come?” riesco appena a rispondere. “Siamo a Wargrave, Bushnell Marina.” “Ah, ma siete già partiti?” chiedo delusa. “No, no. Siamo qui da sempre. Ma è fantastico che sei con Colin Henwood. Portalo, portalo da noi.” Come sono lì da sempre?? Evito qualsiasi commento a voce alta, e spiego a Colin il malinteso, sprofondandomi nella terra come un verme, ma lui risponde premuroso: “Ormai siamo arrivati da me… adesso ti ci accompagno io in macchina”. Prima però sosta per il tè (Earl Grey) alla Henwood & Dean, e mentre lo sorseggio tra chiglie levigate e verniciate di fresco capisco perché è impossibile che “i miei” siano qui: intorno niente fiume, solo colline di erba verde e mucche bianche e nere che se la mangiano.

Quando Colin e io varchiamo il cancello della Bushnell Marina non c’è nessuno. All’infuori di Clodia, sospesa tra le nuvole; come la testa dei suoi naviganti... “Where are they?” Vorrei saperlo anch’io, loro, dove sono. Chiamo. “Non muovetevi da lì. Arriviamo.” Giacomo ha la pelle chiara, la barba corta già grigia, l’aria da filosofo. Jacopo è abbronzato, la barba riccia e nera, l’aria dell’uomo di fatica. Sono la mente e il braccio. Don Chisciotte e Sancho Panza, Robinson Crusoe e Venerdì... Giacomo stringe la mano a Henwood “Che onore conoscerti, Colin! E poi averti qui alla partenza del nostro viaggio!”. Poi abbraccia me con il calore di un vecchio amico. Colin sorride, divertito ormai da questo colpo di vita della giornata. Io resto spiazzata, alla partenza di questa atipica traversata fluviale.

Poi l’attenzione di tutti è per lei, Clodia. Colin segnala piccole rifiniture da apportare perché sia perfetta. “Domani” dice “te la metto a posto io se sei ancora nei paraggi, Giacopo”. Giacomo e Jacopo, per Colin diventano subito un'unica persona: Giacopo. E non così a torto, tra l’altro: Man on the River, se vogliamo essere precisi sui plurali e i singolari della lingua inglese, è uno solo. Per l’uno e l’altro, comunque, è un grande onore che Henwood lasci la sua impronta su Clodia.

Giacomo e Jacopo – Giacopo – sono qui per discendere il Tamigi fino alla Manica e attraversarla, per poi navigare sui canali francesi sino a Strasburgo, ancora il Reno fino a Norimberga, infine il Danubio attraverso Vienna, Bratislava e Belgrado fino al Mar Nero; e da lì a Istanbul, in cinque mesi complessivi.

Ma ogni viaggio comincia con un passo, e con una mappa. Si comincia a parlare di fiume: correnti, maree, chiuse, barriere. Il Tamigi è molto più insidioso di quanto si possa pensare vedendolo scorrere placido tra le sponde nella campagna. Colin, da padrone di casa, si mette a disposizione: “Se mi dai la cartina, Giacopo, ti faccio vedere…” Giacomo infila una mano nella tasca dei jeans, molto vissuti, come se loro, il viaggio, l’avessero già fatto. Mi chiedo se non siano proprio quelli con cui ha fatto “Un altro Po”, il suo primo grande viaggio a remi fluviale. “Ecco” dice estraendo l’I-Phone. Sullo schermo in controluce cerca di inquadrare il Tamigi su Google Map. Colin impallidisce. Istintivamente noi, intorno, arrossiamo per Giacomo, che non si scompone minimamente. Dev’essere un uomo zen. “Ma non avete una cartina?!” richiede l’inglese, pacatamente incredulo. E con lui ce lo domandiamo tutti. “Sì, sì, l’abbiamo, questa”, insiste Giacomo, schermando con le mani l’I-Phone perché Google Map non venga cancellata dal sole. “Vado e torno. Non riesco a capire da qui”, si scusa Colin. E sparisce verso il parcheggio. Quando ritorna ha una carta del Tamigi in mano. “Ecco, così è più facile”, dice staccando con disinvoltura il cartellino del prezzo. “Vi servirà, vedrete.” Ci studiano sopra: da Henley On Thames a Londra, passando per Bray, Chertsey, Teddington, e avanti, oltre le barriere di Greenwich verso il Mare del Nord.

Viene il tempo di prendere il fiume. Giacomo si fa calare in acqua con Clodia. Poi imbarcano l’albero maestro, con la vela bordeaux arrotolata stretta intorno, l’altra coppia di remi, una tenda fatta su in un cerchio, due materassini, i sacchi a pelo, una stufa a legna del primo dopoguerra (di cui vanno molto fieri), i giubbetti salvagente (che di vite sembrano averne salvate già parecchie), le mute per la Manica in caso qualcosa andasse storto, stivali di gomma e pantaloni impermeabili nell’eventualità - certo rara! - di pioggia in Inghilterra, una mutanda di ricambio, forse dei calzini, antizanzare e crema protezione 50 per i riverberi di sole che verranno.

Partenza. Da un ponticello resto a guardare Clodia che si allontana a colpi di remo. Un signore in polo ha i gomiti appoggiati poco più in là dei miei e segue anche lui la Ness Yawl che si avventura verso la mezzaluna stellata di Istanbul. “Hey John! Dove stanno andando?” chiede un suo collega, di passaggio sotto il ponte. “Istanbul!” “Dove??” “Istanbul!”, ripete quello sul ponte. “Whistable?” “Istanbul, Turkey!” “Beh, secondo me è già tanto se arrivano a Whistable!” conclude quello sotto. E scoppia a ridere.

P.S. Era il 15 aprile, e l’inglese sotto il ponte sapeva il fatto suo.  I due uomini in barca sono stati bloccati dal maltempo a Whistable, sull’estuario del Tamigi, per una quindicina di giorni, poi un’infezione trascurata ha fatto finire Giacomo in ospedale. Insomma alla Manica non sono mai arrivati, figurarsi Istanbul. Jacopo lavora attualmente in una fattoria del sud della Francia, aspettando che il suo collega si ristabilisca. Ma i due non demordono, che sarà mai una pausa: seguiteli su www.manontheriver.com.

 

Giacomo e Colin (foto di Martina Colombo) Clodia viene messa in acqua (foto di Martina Colombo) Dal ponte (foto di Martina Colombo) In navigazione (foto di Martina Colombo)

 

 


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