Cacce sottili

testo e disegni di Stefano Faravelli

Modica Duomo di S. Giorgio (disegno di Stefano Faravelli)

Una caratteristica dei nostri viaggi è che su superfici sempre più vaste si riesce a vedere sempre di meno. (…) Questo è uno dei motivi per cui ci si dedica alle cacce sottili: rimpicciolendo - o meglio affinando - le unità di misura, il mondo si ingrandisce e aumenta la sua varietà”.

Ernst Jünger,  “Cacce sottili”,  p.123

 

Primavera 1944. Cacciabombardieri  alleati volano sui cieli di Francia falcidiando i battaglioni tedeschi in movimento tra Sissonne e Parigi. Ernst Jünger viaggia con altri ufficiali della Wehrmacht in testa al convoglio quando due aerei si abbassano in picchiata puntando il veicolo. “Saltammo fuori dall’auto e ci accovacciammo nei fossati di protezione, pozzi rettangolari, non più grandi di una tomba. Il sole era alto; la sua luce cadeva sulla sabbia gialla  e sulla ghiaia del fondo del fossato che io scrutavo inginocchiato là  dentro. Era tutto punteggiato di  piccoli animaletti (…) grilli, cicale, lucciole e anche un toporagno, ma soprattutto la drypta blu che, con  mia lieta sorpresa, riconobbi  fin dal primo sguardo. Era uno degli animali che avevo sempre sognato di incontrare. (…) Fu come se fossi tornato bambino a Goslar, quella scintilla azzurra scavalcò la distanza del tempo”.
L’incontro con la drypta in un attimo sospeso di eternità, in quel fossato tra le bombe, nell’ora estrema del pericolo, è quasi una parabola per noi cultori di “cacce sottili”: ci insegna che  in quel fosso si concentrò per Jünger la vastità di un mondo,  ci insegna che in quei pochi minuti  la durata si sciolse nel non-tempo del ricordo.
Passato il pericolo i commilitoni del nostro, non vedendolo riemergere dal fosso,  pensarono al peggio, salvo deriderlo quando riapparve con l’insetto intrappolato nella fida pipetta di vetro (per far posto alla pipetta, alla lente e al retino il capitano Jünger rinunciava a portare con sé anche  la maschera antigas).
L’episodio della drypta è paradigmatico anche per un altro motivo: esso illustra  assai bene il  modus operandi di noi cacciatori sottili : ”Quando è l’occasione buona?” “Sempre”. “Qual è il posto giusto?” “Dappertutto”.
Le cacce sottili furono per Jünger  perlopiù di natura entomologica, ma cicindele, carabidi e altri coleotteri furono solo pretesti per un esercizio venatorio di qualità eminentemente metafisica. La contemplazione  accurata delle cose piccole, infatti, modifica nel profondo la nostra coscienza dello spazio e del tempo.  Tale contemplazione ci affranca  dall’angustia dello sguardo ordinario, reso opaco dall’uniformità e dall’omologazione, e ci apre inaspettate vie di fuga dall’accerchiamento di bruttura e volgarità che ci circonda.
La proda di erbacce nel più squallido  parcheggio suburbano può essere per lo sguardo affinato emozionante quanto la giungla amazzonica. Albrecht Durer, santo patrono dei cacciatori sottili, non ha fatto della sua zolla un universo? La caccia sottile è talismanica e terapeutica.
Pratico da anni cacce sottili. E condivido con il poeta e filosofo di Goslar le estasi  infantili per i microcosmi entomologici. Come lui, tuttavia,  ne ho fatto una disciplina che trascende la preda. Per giunta, e diversamente dal cacciatore teutonico, le mie vittime  non finiscono trafitte da spilli, ma si sdoppiano in un’esistenza virtuale nelle pagine dei miei taccuini. I miei strumenti di caccia sono  colori, matite e pennelli. In effetti la subtilitas è ubiqua, la sua seduzione è nell’elusività, nell’inafferrabilità.
Guy de Maupassant dice di Claude Monet, che sovente incontrò nelle sue sessioni a Giverny: “Non era più un pittore, in verità, ma un cacciatore. (…) Davanti al soggetto, il pittore faceva la posta al sole e alle  ombre catturando con poche pennellate il raggio di luce o la nube di passaggio.”
C’è una “sottigliezza” del cacciatore e una della preda. Ma in fondo è una stessa subtilitas ad unirli. Ancora Jünger: “Il cacciatore in azione assume qualcosa del comportamento della sua preda, nel gioco del  reciproco  tenersi d’occhio, dello spiarsi e del rapido inseguirsi”.  Questa mimesi erotica vale per tutte le cacce e certo Monet, come i pittori taoisti teorizzavano,  diveniva raggio di luce o nube o ninfea.

COLLEZIONE
Due  pagine della mia collezione di insetti. La macchia rossa indicata dalla freccia è la goccia di fluido emessa dalla  timarca tenebricosa. Se molestata la timarca spruzza una goccia rosso sangue a scopo deterrente. Piccolo contributo cromatico.

MIMETISMO
Una delle cacce  sottili più emozionanti è quella alle creature mimetiche: è sottigliezza farsi passare per un altro, travestirsi per scomparire, per intimidire o semplicemente per essere una cosa sola con il fiore o con il legno che ti ospita (Roger  Caillois ha meravigliosamente confutato l’utilitarismo biologico, accostando il mimetismo alla gratuità dell’arte). Dunque  tutte le forme di mimetismo sono eccezionali terreni di caccia. Occorre in un certo senso sintonizzarsi per vedere una farfalla foglia (la Kallima ) o un fasmide su un ramo. La stessa sintonia che adotta il danzatore Dogon quando indossa la maschera della gazzella o del leopardo.
Questo magnifico esemplare di  insetto stecco, certo una femmina (i maschi sono rarissimi e più piccoli), mi si è manifestato un pomeriggio d’estate: mi ero accordato con il paesaggio riarso della gariga ligure, sulla lunghezza d’onda (come dirlo meglio?) del Bacillus Rossii. L’ho dipinto sul rametto a cui era aggrappato, convinto nella sua estasi vegetale di essere invisibile: l’immobilità ne fa un soggetto ideale.
I due fantasmini sono spoglie di fasmoidei, dono di un allevatore, perché in natura gli insetti stecchi si nutrono delle loro mute.

La acrida è una cavalletta molto criptica. Catturata su un calcatreppolo nella Murgia Materana,  l’ho portata con me per dipingerla con una foglia della pianta  sulla  quale si addestrava a sparire. Avevo finito di dipingere la foglia in questione e la acrida è balzata sulla mia pagina sistemandosi sull’acquerello: l’ingannatrice ingannata! Sulla pagina a fianco ho dipinto una cicala.

METAMORFOSI
Un altro terreno ideale di caccia è la metamorfosi.
Ho seguito le fasi dello sviluppo di una Saturnia Pyri . Dalle uova al bruco, dal bozzolo alla farfalla; poi nuovamente le uova faticosamente deposte a fine estate. La ninfosi, la metamorfosi da bruco a farfalla, si è protratta per tutto l’inverno. In quel sarcofago il bruco ha immaginato la farfalla che sarebbe divenuto.
Di questa pagina  ho fatto una sorta di emblema della circolarità del tempo, supporto anche per una casalinga  meditazione sulla natura dell’anima: psyché in greco sta per  farfalla! … “Non v’accorgete voi che noi siam vermi nati a formar l’angelica farfalla”…

LUCE
Alla scuola di Monet. Seguire il mutare della luce nel paesaggio o sulle architetture è un esercizio al quale mi dedico con costanza da anni. Nelle sessioni estive della mia scuola di carnet presso la Scuola del Viaggio lo faccio fare ai miei allievi, all’alba soprattutto. C’è il ritmo incalzante della vera caccia nell’inseguimento di quei rosa inafferrabili, di quell’impossibile fondersi di violetti e di gialli. Manca sempre il tempo, quindi si impone  la  sintesi  massima: per questo quella alla luce è la caccia più sottile che esista.
Le tre pagine sono il frutto di una spedizione mattutina a Modica. Fissano con rapidità e immediatezza il trascolorare del campanile del Duomo di S. Giorgio; dal verde-blu vellutato antelucano (h.5)  ai bagliori palpitanti del malva (h.6) al radioso giallo dorato che incendia il pinnacolo alle 6.30.

 

Collezione di insetti (disegno di Stefano Faravelli) Insetto stecco (disegno di Stefano Faravelli)
Acrida su foglia (disegno di Stefano Faravelli) Metamorfosi (disegno di Stefano Faravelli)

 

 


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