Un giorno l'astrologo mi disse...

testo e foto di Marco Moretti

India, Jaipur, Jantar Mantar (reportage Un giorno l'astrologo mi disse..., foto di Marco Moretti)

«Abbiamo troppi ingegneri elettronici, avete più possibilità di trovare lavoro se studiate astrologia» leggo sulla copertina del supplemento Education dell’Indian Express, uno dei più diffusi quotidiani dell’India del Sud, la parte tecnologicamente più avanzata del subcontinente, quella che sforna i cervelli informatici, i geni matematici e gli imprenditori ai primi posti nella hit parade dei ricchi stilata dalla rivista Fortune. Il Sud – soprattutto lo stato del Karnataka, dove si trova Bangalore, capitale dell’Information Technology e sede d’un famoso politecnico – è il volto più pragmatico dell’India. Un fondo razionale ce l’ha anche il titolo dell’Indian Express. In questo Paese gli astrologi hanno un gran da fare perché non si prende nessuna decisione senza consultarli. Gli indiani interrogano le stelle prima di sposarsi, comprare una casa, cambiare lavoro, firmare un contratto, iniziare un viaggio, fare un investimento e persino assumere una decisione politica. In un giorno non propizio non prende alcuna iniziativa l’uomo della strada come il primo ministro. Ci si può far leggere l’oroscopo nei templi indù, agli angoli della strada o su Internet. Persino i quotidiani finanziari pubblicano, tra listini di borsa e analisi economiche, il destino astrale dei dodici segni dello zodiaco. Il fatto più bizzarro – ai nostri occhi occidentali - è che, nella quinta potenza mondiale, l’astrologia è considerata una scienza e viene insegnata in sette università, dove si può persino conseguire un dottorato in divinazione stellare. Niente di nuovo perché gli indù mescolano astronomia e astrologia da secoli. Dell’interpretazione degli astri parlava già il Rig Veda, il libro sacro dell’induismo, nel III secolo avanti Cristo.

Consulto il primo indovino che trovo, un probabile ciarlatano che – dopo avermi scrutato il quadro astrale nonché i palmi di mani e piedi – mi trafigge l’iride con lo sguardo, mi stringe la mano, mi chiede 200 rupie e profetizza che diventerò ricco. Pagato il dovuto, gli chiedo dove ha imparato l’arte divinatoria. «All’università di Varanasi, la migliore dell’India» risponde. Parto per Varanasi, la città sacra sul Gange, dove ogni buon indù vorrebbe morire e disperdere le proprie ceneri nelle sue acque purificatrici. Raggiungo l’immenso campus della Benares Hindu University, una città ideale con magnifici edifici coloniali disseminati in un giardino tropicale tra palme torreggianti, l’opposto della città che la ospita: infatti Varanasi è una scabrosa pentola ribollente di corpi, sofferenze, escrementi, morte, preghiere, speranze, deliri e cattivi odori. Qui c’è la più celebre facoltà di Sanscrito, l’antica lingua legata allo studio delle filosofie indiane, da cui dipende l’insegnamento dell’astrologia. Bussando a diverse porte scopro che la persona da incontrare è il professor Shriniwas Tiwari: «Inizia la lezione domani alle undici e la continua nel pomeriggio, venga quando vuole, non c’è bisogno di appuntamento» mi assicura l’usciere. Il giorno dopo trovo il docente seduto a gambe incrociate su un materasso, mentre – aiutandosi con un paio di globi universali – tiene lezione a una ventina di studenti. Grande effetto, professore e studenti sono felici di farsi fotografare ma, come spesso accade in India, non è facile capire. Tiwari parla solo indi, fanno da interpreti alcuni suoi allievi. La mia richiesta di spiegazioni sulla scientificità della materia d’insegnamento trova però solo dogmi e risposte scontate.

La sera, passeggiando nei vicoli alle spalle del ghat dei Morti (quello delle cremazioni), tra l’incenso e l’odore di carne bruciata, trovo lo Universal Astrological Centre. Entro e scopro che è diretto da Umashankar Tripathi, rettore del Dipartimento di astrologia del Shastrarth PG College, un altro ateneo di Varanasi. Tripathi scruta il palmo della mia mano (in India, una pratica associata all’oroscopo) per predirmi con un sorriso «ricchezza e una vita lunghissima». Pago 400 rupie, ringrazio per l’ottimo auspicio, ma ancora una volta non vengo edotto sulla scientificità del tema. Tripathi mi dà però un buon consiglio: «Vada a Jaipur, in Rajasthan, è da secoli un importante centro astrologico, è lì che Jai Singh razionalizzò lo studio degli astri coi Jantar Mantar, gli osservatori astronomici». Nel 1720 il Maharajah di Jaipur fece costruire cinque osservatori nel Nord dell’India: a Delhi, Jaipur, Varanasi, Ujjain e Muttra; restano i primi quattro. All’epoca era la maggiore rete per lo studio dell’astronomia, progettata in primo luogo per indagare il futuro. Jai Singh ricevette infatti l’incarico a Delhi dall’imperatore moghul Mohammed Shah che, scontento dell’approssimazione con cui i suoi astrologi gli predicevano il domani, desiderava dotarsi di nuovi strumenti per interrogare le stelle.

Visito l'osservatorio in riva al Gange, formato da strumenti in muratura per determinare le coordinate di pianeti e stelle, le distanze tra gli astri e l'ora esatta. È una copia in miniatura di quello che a Delhi giace all’ombra dei grattacieli. Il Jantar Mantar più spettacolare è però a Jaipur, al centro del City Palace, tra il Palazzo dei venti e la residenza del maharajah. Un tempo era circondato dalle botteghe degli astrologi. Ora è monumento nazionale, ma in Chandni Chowk, vicino al suo ingresso, c’è l’ufficio di Vinod Shatri, segretario del Rajasthan Astrological Council, docente al quotato Maharani’s College e tra più noti indovini indiani. La sua assistente prepara al computer i quadri astrali che Shatri interpreta su appuntamento per i clienti, aumentando la tariffa a seconda di quanto si spinge nel futuro la predizione. La ragazza stampa il mio oroscopo in indi e lo porge al luminare. Più interessato all’intervista che alla visione del mio domani, chiedo a Shatri: «Perché l’astrologia è una scienza?» «Perché c’è una stretta relazione tra universo e corpo umano. Astronomia e astrologia sono legate dall’intuizione, la dote alla base delle capacità divinatorie, frutto del connubio tra yoga, meditazione, insegnamento, potere divino e conoscenza di soggetto e realtà sociale in cui vive» spiega Shatri. «Le stelle ci influenzano perché rappresentano nostro padre (il Sole) e nostra madre (la Terra). Le stelle, anche le più lontane, ci condizionano perché sono parte del nostro corpo: il Sole è il cuore, la Luna la testa, Saturno i polmoni, Giove il fegato, Marte il sangue, Mercurio lo stomaco, Urano i capelli. E il nostro corpo replica gli strati della Terra: i capelli sono le piante che affondano le radici nel suolo (la carne), ravvivato dall’acqua (il sangue), appoggiato su una base di pietra (le ossa), sostenuto da un fuoco interno (il cuore, l’energia sessuale). L’alternanza nell’ossigenazione del cuore replica quella di giorno e notte, frutto della rotazione del sole» sostiene Shatri. Mentre esprimo dubbi sulla scientificità dei suoi argomenti, interpreta il mio oroscopo: «È fortunato nelle cose materiali, vivrà a lungo, se non è già ricco lo diventerà, ma tutto quel che fa è inutile, perché manca di sostanza, lei è superficiale». Incasso e chiedo «Si è mai fatto leggere l’oroscopo? ». Mi risponde: «No, perché per vedere il futuro degli altri è meglio non conoscere il proprio».

 

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