Frittole, quasi 1500

Indietro nel tempo in Val Padana

di Stefania Secci

Manca poco ormai, ancora qualche settimana, e potremo ammirare il “mare a quadretti”, il poetico paesaggio delle risaie sommerse dall’acqua che si estende a perdita d’occhio fino quasi a lambire il Monte Rosa che vi si specchia, magnifico, ancora innevato.

Oggi però, in questa grigia domenica di marzo, l’orizzonte mi regala altri colori, altre atmosfere, più intime e non meno suggestive.

Ho deciso di vagare senza meta nel cuore della Lomellina, alla scoperta dei suoi tesori nascosti e del fascino silenzioso della campagna ancora dormiente, persuasa che i suoi paesaggi, solo apparentemente omogenei, siano tutt’altro che piatti. Forse questa enorme distesa padana, nella quale vivo ormai da anni e che tanto mia affascina per la sua immensa porzione di cielo, potrà ancora sorprendermi con qualcosa di inaspettato.

Barbavara, frazione di Gravellona Lomellina

Con un po’ di pigrizia, viene definita dai suoi abitanti “la piccola Loira” per via del grande numero di castelli disseminati nel territorio, ben ventisei. Ma che ci fanno qui queste fortezze? Quali storie ruotano intorno ad esse? Immagino battaglie, lotte di potere, suddivisioni di territori e classi sociali. Rivedo in queste piane un passato tumultuoso tutt’altro che sonnolento.

Lunghi rettilinei separano i campi arati. Davanti a questa immensa distesa bruna, mi metto in ascolto. Il fruscio dell’acqua nei fossi, il suono lontano delle campane, il verso degli uccelli, tutto sembra ricordarmi che il palpito della vita continua a seguire i suoi ritmi, a volte in modo così discreto da essere dimenticato.

Campi tra Vigevano e Mortara

Lungo il viaggio, incontro cascine solitarie, alcune in buona salute altre abbandonate e cadenti, addentrandomi nei borghi più silenziosi che custodiscono torri medievali, abbazie, umide cripte. Attraverso piccoli e grandi ponti per oltrepassare il Ticino e i numerosi canali di questa zona fertile. Terra e acqua si alternano di continuo in un percorso che appare infinito. Milano e Torino sembrano così lontane, rimpicciolite e dimenticate da qualche parte nella memoria.

I resti della Basilica di Santa Maria Maggiore — Lomello

Il sole, alla mia destra, proietta adesso i suoi raggi sulle colline dell’Oltrepò Pavese, non troppo lontane eppure così sfuocate. Oggi però vorrei restare in pianura, ben ancorata alla terra come le case basse che sfilano tutte uguali lungo i viali dei centri abitati.

All’improvviso, torri di tutt’altra natura si stagliano nitide all’orizzonte. Grigie e snelle, queste spavalde sorelle fumanti, irrompono in mezzo alla campagna catturando la mia attenzione. Il perimetro che le racchiude, insieme agli enormi serbatoi, è più grande del centro abitato che le ospita. Certo, anche la raffineria è abitata, pullula di vita di giorno e di notte quando tute catarifrangenti e caschi colorati risplendono sotto la luce dei riflettori.

Raffineria di Sannazzaro de’ Burgondi

Questo enorme mostro dovrebbe disturbarmi, farmi sprofondare nello sconforto, ma stranamente mi attrae. Mi chiedo come funzioni e quali sistemi viventi si siano sviluppati attorno a questa strana creatura. Ho voglia di passare un po’ di tempo davanti ai suoi cancelli, inaccessibili e minacciosi, per osservarne da fuori i movimenti e fare qualche foto.

La sfida è forse quella di tenere insieme nella mente due aspetti così diversi e contraddittori di questo luogo, provando ad integrarli, e immaginarne i continui scambi nonostante la difficile convivenza.

Gli occhi ci mettono un po’ a riportarsi sui filari di pioppi o sugli aironi che, eleganti, si muovono in mezzo ai campi. Adesso sembrano cogliere più facilmente i capannoni industriali, i silos, le auto che non smettono neppure per un attimo di passare. È l’olfatto, ancora una volta, a tendermi una mano. L’aria che entra dal finestrino è di nuovo quella fresca e pulita della campagna e per alcuni istanti somiglia a quella di mare, è una sensazione appena intuibile. Chissà, forse questa terra così ricca, e continuamente rivoltata dall’azione umana, ogni tanto lascia emergere qualche frammento dell’antico mare padano, qualche conchiglia o mollusco racchiusi ancora nelle sue viscere.

Filari di pioppi

Mi dirigo più a sud, verso i comuni di Frascarolo, Breme e Sartirana al confine con il Piemonte, passando per Lomello, laddove la regina Teodolinda sposò Agilulfo in un autunno lontanissimo.

Le giornate di marzo sono più lunghe ma non ancora abbastanza per prolungare questo soleggiato pomeriggio. Sono arrivata agli estremi di questa piana ininterrotta, ed eccolo il Po, confine naturale per eccellenza. Luci calde e soffuse cadono con delicatezza sulle sue anse, l’acqua scorre viva. Un pescatore mette via i suoi strumenti prima di tornare a casa. Ci guardiamo da lontano per un attimo, lui a piedi nudi sulla ghiaia ed io, con le mani ben salde, aggrappata al parapetto del ponte. Un vertiginoso spazio vuoto ci separa. Pace e silenzio, neppure un moscerino a disturbarci.

Fiume Po

La luce obliqua mi scalda la schiena accompagnandomi con dolcezza sulla terraferma. Mentre allunga l' ombra dell’immensa arcata metallica, oscurando le rive, sembra suggerirmi di risalire verso nord prima che faccia buio.

Lungo le strade che separano i centri abitati il traffico è diminuito. Domani inizia la settimana laboriosa e produttiva di questa parte della Lombardia.

Gravellona Lomellina

Dallo sfondo nero del cielo, qualcosa richiama un’altra volta la mia attenzione. La facciata di una chiesa si staglia all’orizzonte illuminata da una luce fioca. Il campanile veglia su di lei discreto, senza troppo apparire. Mentre mi avvicino lentamente compaiono ai suoi lati tante piccole casette colorate, come quelle di Burano, affacciate sulla risaia muta ed ancora asciutta.

Non si può passare dritti. Imbocco la stradina che raggiunge la piccola frazione che sembra disabitata. A piedi, mi inoltro lungo l’unica strada che sembra attraversarla, lasciandomi alle spalle i campi, dove un tempo le mondine facevano andare le loro abili mani, cantando in una posizione faticosa e innaturale. Forse in questa chiesa sono entrate a pregare anche loro.

Risaie davanti a Barbavara

Mi volto ancora per un attimo, timorosa ma anche divertita. Un altro salto nel tempo: sembra di essere a Frittole quasi nel 1500! Mi auguro, dopo questa passeggiata improvvisa, di ritrovare il grande albero all’angolo della strada così come lo sto lasciando.

La via che conduce al centro del borgo è il lungo corridoio di un museo a cielo aperto: decine di murales e affreschi ravvivano le pareti delle case, qualcuno appare sbiadito o scrostato altri hanno contorni ben delineati e tinte vivide. Il silenzio di questo strano luogo è interrotto solo dall’abbaiare di un cane e dal gorgoglio dell’acqua che arriva da una coloratissima fontana. Davanti ad una piccola piazza, un’osteria dall’aria un po’ retrò abbassa le sue saracinesche.

Murales di Barbavara

Cammino infreddolita verso l’auto parcheggiata. Non mi resta che incrociare le dita sperando di riacciuffare il presente a cui nonostante tutto sono tanto affezionata. Per fortuna il grande albero è ancora lì ad aspettarmi, maestoso ed orgoglioso della sua veneranda età.

 

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