Sardegna. Parla forte, non ti sento…
di Marigiò Stabile (pubblicato su Ponza Racconta)
Ci sono dei cortocircuiti mentali che a volte aprono varchi inattesi. Le parole di una canzone, la voce di Gianna Nannini, persa nelle lontananze che conosce la mente di chi ha molto vissuto, affiorano insistenti, al mattino al risveglio, alla sera nell’intorpidimento che precede il sonno…
Un antico oliveto abitato ora da un resort di lusso, nelle campagne di una Sardegna ancora luminosa e calda, nella stagione che ha albe e tramonti di frescura.
Un gruppo di persone, tante persone, viziate e coccolate dall’inflessibile organizzazione dell’accoglienza alberghiera, stanze linde e pulite, servizio puntuale, cucina ogni giorno diversa, piatti ben cucinati presentati con cura.
Un autobus rosso Ferrari sempre disponibile alla porta, la voce di guide locali alle quali il microfono non toglie l’inflessione di una lingua antica orgogliosamente differente, a raccontare di nuovo le storie di questo paese misterioso e solenne.
Eppure le parole della canzone ronzano insistenti nella testa mentre entro nel ristorante per la cena, mentre faccio la fila davanti a decine di vassoi fumanti, mentre tento di oltrepassare senza danni il banco dei dolci colmo di ogni leccornia. “Parla forte, non ti sento…
Mi siedo con gli amici di sempre, mangiamo: le conversazioni si perdono nel brusio delle voci, nell’acciottolio dei piatti. Camerieri solerti, con la pelle di un altro colore, sparecchiano rapidi appena finiamo di consumare. Scambiamo ad alta voce parole faticose che in parte si perdono nel rumore di fondo, difficile uscire dai discorsi sul tempo, sulla prossima gita, sul più e sul meno.
Ci spostiamo nella sala soggiorno, un pianoforte sul fondo. Il giovane DJ cortese ha appoggiato sullo strumento il suo mixer, canzoni anni ’60 si confondono con le chiacchiere di tutti noi, il risultato è assolutamente disturbante. Chiediamo di fermare la musica, ma no, non è possibile, il musicista è pagato per questo, la colpa è dell’acustica del luogo, al massimo si può abbassare il volume, con scarsi risultati.
Passiamo nel giardino, curatissimo, ci accomodiamo nei divani: siamo tutti anziani, tutti abbiamo avuto problemi di salute, difficile uscire dal discorso dolente sugli accertamenti, sugli interventi subiti o da programmare. E di nuovo, slegata dal contesto “Parla forte, non ti sento…”
Passa tra i salottini il personale dell’animazione, belli e gentili, corpi giovani, hanno preparato il teatrino serale, ci invitano a ballare, e ci scateniamo come sappiamo fare da sempre, trascurando accuratamente le differenze tra l’agilità di ieri e gli impacci di oggi. La musica è la nostra, anni ’60, vero che la musica non ha età…. Poi riposo, domani in spiaggia.
La spiaggia: la striscia di sabbia fine si allunga per chilometri a destra e a sinistra, ma per noi ospiti di riguardo l’albergo ha preparato file serrate di lettini, comodi. Per chi ha problemi di artrosi non è consigliabile sedersi sulla nuda terra…
Di nuovo, l’animazione: risveglio muscolare, acquagym, bocce, freccette, tiro con l’arco, e onnipresente la musica. Il mare tranquillo srotola diligentemente piccole onde di cristallo, prova a solleticare le nostre gambe affaticate con lunghe strisce di posidonia, con il pizzicore dei pesciolini golosi delle nostre pellicine morte. Lo guardiamo distratti, l’animatore annuncia un omaggio a Lucio Battisti… Acqua azzurra, acqua chiara…
Il giorno seguente si annuncia una giornata in mare, in motonave. Affrontiamo all’alba piccole onde blu oltremare segnate da orli di spuma candida, il rumore del grosso motore (necessario!) è assordante, ma l’assistente di bordo ha preparato comunque una compilation anni ’60, della quale cogliamo vagamente qualche accordo. Ogni tanto un collettivo sospiro di sollievo annuncia l’intervallo tra una canzone e l’altra, intervallo breve, il tempo di cliccare sulla nuova playlist…
La vacanza appare perfetta: il tour operator non ha trascurato alcun dettaglio, e il soggiorno è quanto di più comodo si possa sognare.
Eppure mi abita un sottile disagio; dai giornali arriva come un’eco lontana il racconto delle manifestazioni del 22 settembre per Gaza. Noi, si sa, siamo in vacanza, ogni coinvolgimento è sospeso, un po’ mi dispiace di non aver partecipato. Parla forte, non ti sento…
È l’ultima sera: decido di uscire al tramonto, in perfetta solitudine, per vedere cosa c’è oltre la serie di stanze eleganti e aiuole perfette. Intorno alla costruzione ad un solo piano l’antico oliveto rimane, gli alberi sono carichi di frutti: un orto sterminato si stende oltre gli ulivi, percorro i viali tra le parcelle ordinate: melanzane, carciofi, basilico, rosmarino. In fondo, un viale in terra battuta permette di accedere ad un edificio separato, sul retro, non visibile dagli ospiti. Mi affaccio curiosa alle basse finestre del seminterrato: stanze in disordine, arredate con letti a castello, borse di plastica a terra, stenditoi coperti di biancheria stesa ad asciugare. In un angolo uno dei camerieri in ginocchio prega con la fronte su di un tappeto.
Torno verso l’albergo, incontro un turista che non conosco, dev’essere del gruppo arrivato ieri, siamo tanti e fare conoscenza è difficile.
Lo saluto:
– Buonasera, ha visto qua dietro che bell’orto?
– Buonasera… già, bellissimo, le melanzane sono mature, c’è tanto basilico, fanno il pesto forse..
– Ha visto, anche il giardino è molto curato…
– Eh sì… ho visto dei neri là nelle stanze in fondo, forse sono loro che si occupano delle piante.
Non commento: saluto, è quasi buio, mi avvio da sola verso il mare. Una brezza leggera muove le piante della macchia, provo a dar loro un nome, ho una app. appena scaricata sul cellulare. Lentisco, tamerice, mirto, eucalipto, agnocasto, giglio pancrazio: mi accorgo con un certo rimpianto di non averle mai guardate con attenzione, di non essere mai andata oltre il sentiero tra l’albergo e la spiaggia attrezzata. Dalla vicina palude giunge il chiocciare delle gallinelle d’acqua, anche a loro avrei potuto riservare attenzione.
Le bancarelle che vendono teli da spiaggia, salvagenti, palette e secchielli sono chiuse: accanto ad una grossa auto si affaccenda un uomo alto dalla pelle nera, questa mattina è passato tra i lettini, mi ha venduto un pareo di seta: Lo saluto:
– Finita la giornata, ha chiuso il negozio?
– Ho finito, sì, ora si va a casa
– Allora buona serata
– Buona serata anche a lei
Esco sulla spiaggia: il mare è color argento, riflette un cielo chiaro sfumato ancora di luce, il sole è appena tramontato alle nostre spalle. In lontananza una coppia di giovani ha montato una piccola tenda, lei è seduta sulla sabbia, lui si avvia verso l’acqua. Sono entrambi nudi, non sento le loro voci; quanto tempo è passato da quando anche io, anche noi, quanto tempo dalla piccola tenda all’orlo della risacca?
Il silenzio è abitato dal fruscio delle piante nella brezza serale, dallo sciabordio delle piccole onde, emerge dai ricordi un’altra canzone popolare. Da quanto tempo non ascolto più con attenzione lu ruscio de lu mare? Da quanto tempo non mi concedo il lusso di inanellare a lungo i pensieri, uno dietro l’altro? Da quanto tempo non mi apro all’incontro del non conosciuto, alle persone di un altro colore, al rimprovero silenzioso del mare, degli olivi, delle creature della macchia.
– Parla forte, non ti sento!
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