Vivere e sopravvivere a NoLo

di Andrea Badalotti

Un viaggio nel quartiere simbolo della Milano che cambia, tra locali trendy, serrande abbassate e la ricerca di un senso di comunità.

A NoLo il sindaco non indossa una fascia tricolore, ma ha un suo gruppo Facebook. Daniele Dodaro deve la sua “carica” alla creazione di NoLo Social District, una comunità virtuale che oggi conta 13.827 membri e che si impegna a migliorare la vita del quartiere. È con questo obiettivo che nel 2016 sono iniziate le colazioni del sabato mattina; dei momenti di incontro nelle piazze e strade di NoLo, dove ognuno portava qualcosa e la condivideva con i vicini. Tante delle attività associative, dal gruppo di corsa a radio NoLo, sono nate proprio grazie ai contatti instaurati tra i partecipanti alle colazioni di quartiere. 

Minimarket, barbieri e negozi etnici: via Padova è il volto multiculturale di NoLo.

La spinta a dare un’identità a questa zona della città che grossomodo – non esiste una delimitazione ufficiale perché è un quartiere “informale” – si trova a nord di Loreto e a sud della Martesana, stretta tra via Padova e la massicciata della stazione Centrale, nasce ben prima del gruppo Facebook. Nel 2012, Francesco Cavalli, fondatore e direttore creativo di uno studio di design e marketing, mentre si trovava a New York osservò come anche le zone più periferiche della Grande Mela, una volta battezzate con un nome accattivante, acquistassero una propria identità distintiva. Così, seduto al tavolo del suo bar preferito di New York, Francesco concepì il nome del quartiere in cui viveva a Milano: NoLo, North of Loreto. Nato per caso, il nome iniziò a diffondersi in breve tempo tra gli stessi abitanti, e venne quasi subito sfruttato come leva di marketing dagli studi immobiliari, attratti dai bassi prezzi della zona e dalla possibilità di farli crescere in una città che ha sempre fame di appartamenti e nuove mode.

Un nome tutto suo in effetti questa densa scacchiera di palazzi che gravita intorno a viale Monza non ce l’ha mai avuto. «NoLo oggi ingloba vecchie parti dei vicini quartieri storici di Casoretto, Turro e Greco», racconta Corrado Gioia. Corrado, lunga barba bionda, giubbotto in pelle nera e un passato da militante del Leoncavallo – storico centro sociale autogestito milanese fondato nel 1975 –, ricorda un'epoca in cui NoLo era tutt'altro che cool. Per trent'anni ha abitato nella casa occupata di via dei Transiti, all'angolo con viale Monza, nel cuore del quartiere. «È sempre stato un quartiere proletario – spiega – qui ci vivevano facchini di stazione e operai che lavoravano nell’indotto delle piccole industrie della zona, posti dove si producevano molle dei letti e scaldabagni». Oggi, al posto delle fabbriche e di tante piccole attività si trovano locali per gli aperitivi e la vita notturna.

Piazza Morbegno è l’epicentro della trasformazione: «È diventata zona rossa: siamo arrivati al punto che il Comune ha dovuto vietare di aprire nuovi bar e locali».

La casa occupata di Via dei Transiti racconta un pezzo del passato (e del presente) del quartiere.

La trasformazione del quartiere si riflette nei volti che si incrociano per le sue strade: accanto ai residenti storici, sempre più spesso fanno capolino giovani dalle buone possibilità economiche, attratti dalla nuova immagine "cool" del quartiere. 
È un venerdì pomeriggio di metà maggio e fuori dal NoLoSo – il bar da brunch e aperitivi più noto del quartiere – li puoi riconoscere da lontano: borsa di tela appoggiata allo schienale della sedia, sneakers bianche, pantaloni a zampa, AirPods sul tavolo; qualcuno alterna un sorso di una IPA artigianale alla scrittura sul MacBook, qualcun altro si appresta a fare una storia su Instagram per i suoi followers. Poco più in là, un gruppo discute in inglese di design mentre il cane a pedigrée sonnecchia sotto la sedia. Il giorno dopo, al Parco Trotter – l’unico polmone verde di NoLo – quegli stessi volti si confondono con famiglie bengalesi, egiziane e marocchine. Chi ciondola su una panchina o passeggia, chi festeggia un compleanno o lascia correre i figli sull’erba. Questa fotografia sociale è confermata dai numeri: qui il 34 % dei residenti è di origine straniera, quasi il doppio della media cittadina (19 %).

In questo crogiolo di culture e generazioni, il Parco Trotter svolge infatti un ruolo fondamentale nella vita del quartiere. Di mattina è animato da circa 1200 bambini e ragazzi che frequentano le scuole materne, elementari e medie dell’Istituto comprensivo “Casa del Sole”, ospitate nelle strutture del vecchio galoppatoio. Di pomeriggio, i suoi circa 100mila metri quadrati di verde sono aperti a tutti e qui si ritrovano famiglie e gruppi di amici a festeggiare compleanni, giocare o semplicemente fare una passeggiata.

«È un polo scolastico importantissimo per l’integrazione» spiega Cosetta Fiori, agente immobiliare che da qualche anno si è trasferita nel quartiere “qui i figli dei ricchi vanno a scuola con i figli degli immigrati”. Il progetto “Parole in gioco”, sviluppato dall’associazione La Città del Sole – Amici del Parco Trotter nasce nel 2003 proprio con l’obiettivo di favorire lo scambio tra culture diverse: venti volontari dopo l’orario scolastico offrono corsi gratuiti di italiano a oltre cento alunni stranieri, alle loro famiglie e a migranti adulti del quartiere. L’obiettivo non è solo insegnare l’italiano, ma creare occasioni di socialità all’interno della comunità che vive attorno al parco: feste, passeggiate, iniziative aperte a tutti che trasformano il Trotter in una piccola palestra di convivenza.

La stessa multiculturalità del Trotter la si ritrova anche in alcuni degli spazi culturali di quartiere, come il Cinema Beltrade, storica sala parrocchiale a pochi passi da Piazza Morbegno. «Oggi al cinema vengono tanti ragazzi di seconda generazione» racconta Monica Naldi, che dal 2012 gestisce il Beltrade insieme a Paola Corti. «E anche tanti stranieri che vivono in altre parti della città». Da quando Monica e Paola hanno preso in mano le redini del Beltrade nel 2012, la loro strategia è stata chiara: film in lingua originale sottotitolati in italiano, un’offerta allora rara a Milano, e un'attenzione particolare ai produttori indipendenti e autodistribuiti. Una scommessa rischiosa, che si è rivelata vincente. «Pian piano si è sparsa la voce – prosegue Monica –, e il pubblico è cresciuto costantemente».Grazie alla costante crescita, la Barz and Hippo Snc di Monica e Paola conta oggi sette dipendenti. «Non siamo un’associazione. Siamo fieri di essere un’azienda che lavora per profitto. Pensiamo che il cinema possa e debba sostenersi attraverso i biglietti dei suoi spettatori” afferma fieramente Monica». Se gli chiedi di Nolo scrollano le spalle, loro erano qui da prima.

“Trasferiti a Cologno Monzese” si legge sulla serranda abbassata di questo (ex) spazio commerciale in via Padova.

A differenza del Beltrade, altri spazi culturali del quartiere hanno dovuto affrontare momenti di grande difficoltà. «A ottobre 2024 eravamo sull'orlo della chiusura», confessa Alice Piciocchi, classe 1985, una delle fondatrici della libreria aperta nel 2019, – e ho deciso di lanciare un crowdfunding». L'iniziativa ha avuto successo, permettendole di dare un po’ di respiro alla sua attività. 

Alice, dopo anni di lavoro come giornalista in una rivista di architettura e design, ha deciso di aprire NOI Libreria, spazio culturale di vicinato. «Scrivere di palazzi e di sedie non mi significava più nulla. Volevo creare un contenitore di cultura per colmare il vuoto che percepivo nel tessuto sociale del quartiere in cui sono nata e cresciuta» racconta.

Indubbiamente il quartiere e chi lo abita è cambiato molto rispetto alla sua infanzia. Via delle Leghe, dove si trova la libreria, conservava fino alla metà degli anni ’90 una sua identità commerciale; qui sorgevano uno accanto all’altro atelier di artisti, officine meccaniche e piccole botteghe. Oggi questo variopinto cosmo di attività commerciali è scomparso: qui come in tutta la zona sembrano aprire solo nuovi locali della movida.

Le attività a vocazione culturale che oggi resistono nel quartiere sono poche e anche la libreria di Alice rischia di essere travolta dall'onda della gentrificazione e della speculazione immobiliare. 

Il contratto di affitto, stipulato sei anni fa, ha altri sei anni di vita. Ma la precarietà è palpabile. «Questo diventerà un loft, a meno che l'attuale proprietario non cambi idea», afferma perentoria Alice con un velo di amarezza. L'unica speranza di sopravvivere nel quartiere in cui è nata è che il Comune intervenga, come già accaduto in altre zone di Milano, mettendo a disposizione uno spazio culturale tramite bando.

«I prezzi degli immobili negli ultimi anni si sono impennati» conferma Cosetta. «Se nel 2018 il prezzo medio al metro quadro si aggirava attorno ai 2.5000/2.700 euro», ad aprile 2025, secondo i dati di Immobiliare.it., il prezzo medio degli immobili in vendita in zona Pasteur/Rovereto si aggira attorno ai 4.672 euro al metro quadro.

"Ottimo investimento": NoLo oggi è soprattutto questo.

«Il problema è che qui non c’è spazio per nuove costruzioni» sottolinea Corrado. A NoLo gli edifici sono gli stessi degli anni ’60 e non ci sono state grandi iniziative di riqualificazione come successo in altre parti di Milano. Questa mancanza di nuove costruzioni, unita alla crescente domanda, ha creato una spirale speculativa che ha via via trasformato radicalmente il tessuto sociale del quartiere. Sembra un caso studio della gentrificazione di questi anni. I vecchi residenti faticano a sostenere gli affitti e sono costretti a spostarsi, mentre i nuovi arrivati, stranieri ma anche giovani con grandi disponibilità economiche ridisegnano l'identità di NoLo. 

Il quartiere è oggi in bilico tra la gentrificazione dilagante e l’anima popolare di un tempo, tra la movida dei locali alla moda e la lotta quotidiana di chi cerca di preservare spazi di cultura e aggregazione. E nonostante tutto la vita nel quartiere continua a scorrere come un feed: qualche like, qualche emoji e, tra le foto di un aperitivo, un banner pubblicitario con un annuncio: “affittasi bilocale”. Bello, ma a che prezzo?

 

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