Tempio Civico di San Sebastiano
di Andrea Pasqui
Al Tempio Civico di San Sebastiano Giovanni Antoniazzi è di casa. «Gli impiegati del Comune vengono qui al mattino, aprono le porte della chiesa e poi ritornano in serata per chiuderle. Per il resto della giornata è in mano a noi volontari del Touring, facciamo noi gli onori di casa». Da quando è andato in pensione Antoniazzi dedica parte del suo tempo libero al volontariato in ambito culturale e di questa chiesa che non è una chiesa, a due passi dal Duomo, racconta con dovizia di particolari ogni anfratto. Accoglie i visitatori con un sorriso deciso e contenuto allo stesso tempo, perché fare il volontario nella cultura per lui è stata una scelta semplice. «Ho lavorato in banca fino al 31 dicembre del 2017, il 2 gennaio sono andato al Touring per diventare volontario». Oggi è di turno al Tempio Civico di San Sebastiano di Milano, uno degli 88 luoghi sparsi in 33 città italiane che dal 2005 possono aprire regolarmente le loro porte grazie ai volontari del Touring Club Italiano. Il programma “Aperti per Voi” oggi conta su 1600 volontari incaricati di tenere aperti luoghi di interesse artistico, culturale e sociale che altrimenti non potrebbero aprire: vuoi per mancanza di fondi o per mancanza di interesse da parte delle amministrazioni, il risultato non cambia. Sono infiniti in Italia i siti di interesse che meritano di essere visitati ma mancano di personale che li tenga aperti. Ed è per far fronte a questa esigenza del tutto pratica – sarebbe bello dire umana – che da vent’anni il Touring Club promuove il programma “Aperti per Voi”. «Fin da quando è nato, nel 1894, il Touring –fondato da ciclisti della borghesia illuminata milanese – si occupa di far conoscere il patrimonio culturale e geografico del Paese», racconta Marina Taverna, che insieme a Giovanni e a Milena Mariani questa mattina presta servizio a San Sebastiano. Il patrimonio culturale non si possiede, lo si riceve in eredità. Anzi, lo si ha in custodia a tempo determinato per il breve tempo delle nostre vite. Produrre conoscenza è una delle mission del Touring Club Italiano, e produrre conoscenza significa – anche – prendersi cura di questo patrimonio, renderlo fruibile, renderlo un motore per la crescita culturale. In quest’ottica, far conoscere il Paese coi propri luoghi e i monumenti è, forse soprattutto, una questione pratica.
Il Tempio Civico di San Sebastiano, che pur essendo una chiesa consacrata non appartiene alla curia come tutte le altre, ma al Comune di Milano, è a pochi passi da Piazza del Duomo, da qualche anno affollata di turisti a qualsiasi ora del giorno. E meno male che almeno i turisti, per lo più stranieri, sembrano accorgersi della bellezza di questa chiesa, quasi nascosta in un recesso di via Torino, perché tra chi a Milano ci vive e lavora sembra dominare l’indifferenza alla bellezza di questo quartiere. Dallo spigolo sud-est di Piazza del Duomo – in fondo a sinistra, dando le spalle alla Cattedrale – parte via Torino: il tempio di San Sebastiano si trova a poco più di 200 metri, al numero 28. Sullo stretto e breve vicolo che, perpendicolare a via Torino, porta al Cinema Centrale, si aprono gli ingressi alla chiesa.
Milena, Giovanni e Marina sono tutti milanesi – quantomeno di adozione –, tutti da poco in pensione. «Nella vita si riceve sempre aiuto da qualcuno, sotto forme diverse. Credo di parlare a nome di tutti se dico che una volta arrivati alla pensione abbiamo sentito l’esigenza di restituire un po’ di quello che ci è stato dato», spiega Milena Mariani. Lei ha lavorato per vent’anni all’aeroporto di Linate e dal 2013, appena raggiunta la pensione, dedica parte del suo tempo libero al volontariato. «Dopo un ciclo di formazione di quattro incontri con specialisti incaricati dal Touring, abbiamo messo tutti a disposizione quattro mezze giornate al mese, il massimo previsto dal programma», aggiunge Antonio.
Durante i corsi i volontari capiscono che devono essere bravi a rispettare la libertà di ciascuno: non tutti quelli che entrano vogliono parlare o essere accompagnati – non tutti vogliono essere accolti –, e Marina li sa distinguere immediatamente con uno sguardo: «Ci è sembrato di notare che circa la metà di quelli che entrano al mattino viene qui per pregare e accendere un cero. Loro cercano tranquillità, non le nostre parole. L’altra metà si divide tra turisti e visitatori, e anche tra loro ci sono alcuni che preferiscono farsi un giro per conto loro, magari facendo affidamento sui vari opuscoli del Comune e del Touring», spiega Marina, indicando su un tavolino le varie brochures.
Pur non essendoci differenze tra i volontari o specializzazioni di sorta – fatta eccezione per un referente incaricato di ciascun luogo –, ognuno di loro sembra avere i suoi compiti e la sua sfera d’azione. Giovanni è precisissimo nel raccontare la storia e l’architettura della chiesa «che fu costruita come atto votivo a protezione dalla peste nel 1576», precisa. Milena, conoscendo le lingue, è incaricata di accogliere e accompagnare i visitatori stranieri e tiene anche il conto di chi entra con un contapersone rosa intenso che maneggia con incredibile automatismo, senza smettere di parlare, lanciando solo una rapida occhiata all’ingresso. La domanda «di cosa vi occupate qui?» sembra provocare un moto di orgoglio e sincera soddisfazione. Marina spiega: «Il compito di noi volontari del Touring è quello di affiancare le istituzioni nel gestire questi luoghi. Una volta che il sito raggiunge la sua indipendenza economica, ovvero inizia a generare reddito, noi facciamo un passo indietro». È successo con la casa del Manzoni, per esempio. Ed è la principale differenza con un’altra realtà lodevole in Italia, quella del FAI. I luoghi del FAI, al contrario di quelli del progetto Aperti per Voi, sono di proprietà del Fondo, oppure sono stati ricevuti in concessione da un Ente Pubblico o in comodato da un privato. In sostanza, giocano in casa con tutti i vantaggi e gli svantaggi del caso.
«Specifichiamo sempre che noi non siamo guide turistiche,» racconta Antonio «anche per evitare problemi con chi lo fa di lavoro». Ognuno ha i propri compiti, fosse anche solo per rispettare l’antico adagio locale “ofelè fa el to mestè” (Pasticciere, fa il tuo mestiere). Ciò che sembra abbastanza certo, però, è che le guide che accompagnano i gruppi turistici non potrebbero fare il loro lavoro se nessuno presidiasse i luoghi. «Quello che cerchiamo di fare noi, poi, è aggiungere un po’ di colore, un po’ di umanità a questi siti con piccole storie e aneddoti», dice allegramente Marina. E forse è proprio questo l’essenziale: le storie. Senza di queste probabilmente tutta la bellezza che ci circonda sarebbe meno toccante. Sarebbe semplicemente su un piano troppo alto per noi, inafferrabile. Mentre Milena, Marina e Giovanni ci parlano, si nota sopra alle loro teste una vetrata colorata che recita “Civitatis Defensori”. Una coincidenza significativa. I difensori della civiltà.
A una decina di minuti a piedi da San Sebastiano, si trova un’altra chiesa custodita dai volontari Touring. Le guide più recenti la chiamano la Cappella Sistina di Milano. La sobrietà delle guide di inizio Novecento invece definiva il suo interno come “grazioso, semplice ed assai notevole”. Che sia un luogo notevole lo dimostrano i numeri: 2000 visitatori in un venerdì qualunque di inizio Maggio, con un picco di 6000 in una sola giornata raggiunto nel 2019. È la chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore, al numero 15 di Corso Magenta. Uno dei 21 siti milanesi che riesce a rimanere aperto al pubblico grazie ai volontari del Touring Club Italiano. All’esterno tutti vanno di fretta: avvocati e commercialisti, in zona padroni, ma anche fattorini e turisti, tutti obbediscono alla retorica d’ispirazione newyorkese della città che non dorme e non si ferma mai. E invece bastano sette gradini, i sette che la rialzano dal marciapiede, per lasciare questa frenesia, di macchine e di anime, ed entrare in un luogo sacro, vuoi per vocazione o per bellezza. Una volta dentro, ancor prima di riuscire a rimanere incantati dagli affreschi che ti circondano, si viene accolti dai volontari. Oggi qui presta servizio Roberto Bottelli, 81 anni, laureato in economia e commercio, un passato da bancario e una figlia restauratrice. Non è figlio d’arte, ma sembra interessato alla grazia artistica del mondo fin da piccolo. «L’arte mi è sempre piaciuta, ma non ne sapevo nulla. Poi mia figlia ha deciso di studiare restauro, e allora ho iniziato a leggere qualcosa anche io. C’era un libro in particolare che trovavo molto affascinante. Conteneva tutti i simboli usati per rappresentare i santi. Grazie a questo mia figlia poteva riconoscere immediatamente un santo o una santa in base alle caratteristiche del ritratto». Ed è grazie alla lettura di questo che Roberto indica con sicurezza santa Cecilia negli affreschi di Bernardino Luini: «La vedete lì, con la palma del martirio in una mano, il libro della conoscenza nell’altra e accanto ai piedi uno strumento musicale. E proprio accanto sant’Orsola, che si riconosce per la freccia che la trafigge. Il martirio di Santa Caterina è ancora più facile da riconoscere, basta notare la ruota sullo sfondo». Il libro dei simboli ha fatto, e bene, il suo lavoro.
In un tempo che si dilata Roberto non smette di dipingere la vita della chiesa e delle monache che abitavano il monastero.È in questo modo che i luoghi tornano a vivere, perché la Storia non potrebbe esistere senza le infinte micro-storie che la accompagnano e la completano. Poco interesserà sapere che le monache di clausura «qui avevano una dieta molto varia, mangiavano carne, pollame e bevevano anche vino – anche se, miserere nostri Domine, annacquato», però sono aneddoti che rendono più interessante la visita. Ed è con un certo orgoglio che Roberto racconta di quando nel gruppo Facebook dei volontari che prestano servizio qui, qualcuno ha pubblicato delle foto di un libro dell’inizio dello scorso secolo su cui erano riportati studi sull’argomento che gli sono serviti per imparare queste nozioni.
E mentre lo racconta vien da pensare che questo è davvero il senso del volontariato culturale: dare e ricevere. Contribuire con piccoli mattoncini alla costruzione di un senso che include tutti. L’obiettivo dei volontari non è erudire – non necessariamente almeno –, ma piuttosto accogliere i visitatori che arrivano, per caso o per scelta e costruire un primo immediato legame tra loro e il patrimonio culturale. Perché è così che si costruiscono le comunità.