“Waaraam niet?” — Il mio Belgio delle meraviglie

di Irene Di Natale

Le oche di Aalst

Vi siete mai trovati alle prese con un’oca che vi viene incontro soffiando e arruffando le penne? Io non so quante fossero quelle che hanno messo in fuga un’intera armata di Galli, ma vi dico: a me queste tre bastano e avanzano per desiderare di battere in ritirata.

La più robusta ha nel becco un ciuffetto di piume, di sicuro quelle di un’oca finita in pasto ai pesci del laghetto. Un suo QUA, un unico, potentissimo QUA, è il segnale a scatenare l’inferno: un attimo di sospensione e poi la sinfonia di QUA QUA QUA al volume di una sirena antincendio scuote tutto intorno a me. Non voglio diventare un titolo di giornale “Turista beccata a sangue dalle oche assassine dello Stadspark di Aalst”: è il momento di evacuare la zona. Infilo le mie cose alla rinfusa nello zaino, mi alzo dalla panchina. Quando iniziano a sbattere le ali io mi metto a correre verso l’uscita. E loro dietro. La scolaresca che pranza sul prato esplode in grida di incoraggiamento, credo verso le oche, il runner che incrocio mi urla qualcosa che non capisco.

Però ormai sono al cancello. Senza fiato, ma senza traumi. Riprendo a respirare: le oche sono ferme in mezzo al vialetto, l’aria innocente, il passo svagato.

Provo a guardarmi dall’esterno, a trovare il lato divertente di essere appena stata bullizzata da un gruppetto di oche belghe, in un parco di una città che forse neanche i Belgi hanno presente dov’è. Ma non lo trovo. Torno verso il B&B: magari nel tragitto scopro anche chi me l’ha fatto fare.

In vacanza da sola

Ho perso il mio compagno di viaggio. Non ne voglio un altro. O meglio: non lo cerco. Se arriverà, un giorno, prometto di non fare paragoni.

Non ho soldi per andare in Asia a ritrovare me stessa, e poi a me dell’Asia non è mai interessato un granché, neanche quando facevo yoga, neanche in quell’anno disgraziato in cui la mia insegnante mi aveva convinta a iscrivermi a una scuola per diventare insegnante di yoga — una cosa fuori dal normale, un percorso di quattro anni, un week end al mese da ottobre a maggio, con esame finale ogni anno a giugno, moltiplicato per quattro. Praticamente nello stesso tempo mi sarei potuta prendere un’altra laurea. Quando mi sono resa conto che dappertutto iniziavano a essere pubblicizzati corsi di 16 ore (due giornate, con pure il tempo per l’aperitivo di socializzazione) in palestre fighe di Roma o Milano da cui tornavi con l’abilitazione per insegnare stili di yoga con nomi impronunciabili che non avevi neanche mai sentito prima, ho mollato tutto e con i soldi che avevo messo da parte per iscrivermi al secondo anno non so cosa ci ho fatto, perché sono passati quasi vent’anni, ma di sicuro è stato un investimento più saggio.

Insomma, ogni tanto quando mi ritorna in mente questa storia della scuola di yoga mi sale di nuovo il nervoso, ma ora è tardi, mi bruciano gli occhi per la stanchezza, e voglio pensare a qualcosa di bello. Scarico le app dei voli economici, vedo dove potrei volare.

Parigi, Londra, Berlino. Già stata, già stata, già stata. Più volte. Con il mio ex ex (il Martire), con il mio ex (l’Assassino), con i genitori dell’Assassino, con la mia migliore amica, con il mio migliore amico, in vacanza studio, con un gruppo di studenti che ho accompagnato in gita.

Forse cambiamo aria, che ne dici? Usciamo dalla comfort zone, anzi la allarghiamo, perché ci sarà pure una via di mezzo ragionevole tra andare a fare il bagno nel Gange e tornare a fare colazione in quel locale dove riconoscerai perfino il personale.

Amsterdam? No, dai, guarda quanto costano i biglietti. Portogallo? Prima o poi. Danimarca, Norvegia? Lì mi ci trasferirei, altroché!

Sbuca il Belgio, c’è un volo da poche decine di Euro per Bruxelles. Perché no? 
Prenoto quasi senza che il mio home banking se ne accorga. Sbadiglio, appoggio il cellulare sul comodino e chiudo gli occhi.