SPQR: Senza Programmi in Quattro a Roma
di Linda Reboni
Racconto di una mini vacanza a Roma in famiglia tra lamenti, ideali sgretolati e programmi puntualmente saltati, a parte il desiderio di stare all’aria aperta. Le premesse erano di far apprezzare le meraviglie della città, il risultato? Quello che di sicuro è stato apprezzato è il cibo, anche quello inaspettato, sul resto …. lo capirò solo col tempo
Di ritorno da Roma, martedì di carnevale, sul treno ci contendiamo l’ultimo souvenir gastronomico della capitale: il maritozzo, almeno la parte culinaria è andata discretamente; la Fontana di Trevi, Piazza del Popolo e il Vaticano dovranno attendere. Nella mia testa avevo un programma di massima ma, come altre volte, mi sono scontrata con il rifiuto dei miei figli.
Ore 6:52 del sabato precedente saliamo sul Frecciarossa per Roma, incastriamo gli zaini nella cappelliera e giochiamo a Tetris coi posti a sedere: una dice “voglio stare vicino a mamma!” e l’altro “voglio stare vicino a papà!” frasi che di per se avrebbero dentro già la soluzione se non fosse che il termine “vicino” da uno è inteso a fianco dall’altro di fronte. Il nostro starnazzare stavolta passa piuttosto inosservato poichè tutto il vagone è pieno di famiglie dirette all’Urbe. La mamma nelle sedute davanti inizia a programmare la gita e i figli sembrano reagire con attenzione, ora provo io. Inizio a descrivere un paio di cose da vedere e Leda mi fa spallucce mentre Ennio mi chiede di guardare qualcosa sullo smartphone. Paolo non è da meno, troppa fatica pensare a un programma che vada oltre l’ora successiva o che non riguardi la soddisfazione dei bisogni primari. Non mi aiuta nella programmazione dei viaggi ma neanche mi intralcia ne tantomeno si lamenta, che poi di cosa dovrebbe visto che, in linea di massima, rispetto sempre il motto “minima spesa massima resa”?
Quindi mentre la famiglia Mulino Bianco davanti a me ascolta interessata i racconti, noi a stento riusciamo, fino a Bologna, a distrarre i nostri figli con battaglia navale poi — santo wi-fi- sullo smartphone si guardano Minions 3 mentre fuori scorre un paesaggio monocromatico plumbeo intervallato da qualche spruzzata di fiori di mandorlo.
Arrivati a Termini abbiamo un notevole buco allo stomaco e le pozzanghere fuori dalla stazione non impediscono a me e Leda (che a dieci anni ha il piede grande quanto il mio e tiene abbastanza la mia andatura) di avventurarci per un paio di vie tra negozi di cianfrusaglie e hotel per tornare vittoriose con la pizza rossa del pakistano, fumante e strapiena di polpa. Tocca a me quindi, dalla stazione di Tuscolana, navigare la famiglia verso il B&B, la formazione è la solita: io davanti con passo deciso concentrata sulle vie e loro tre a distanza, come un frammento di bassorilievo sulla colonna traiana raffigurante il condottiero con i fanti dietro; sento la fatica della pendenza. Lasciamo gli zaini in una camera ancora da sistemare con una discreta puzza di scarico; la mia convinzione sulla scelta dell’alloggio si sta incrinando.
Di eterno sono anche le attese per i mezzi; il tram mi manda in tilt gli orari attesi su Maps, siamo gli unici sulla banchina sotto la pioggerella, con solo il cappuccio in testa, ma ai bambini la cosa diverte e iniziano a spingersi e rincorrersi su quella striscia di marciapiede sopraelevata tra tram (tutti tranne il nostro)e sirene.
Quello giusto finalmente arriva e i figli sono ancora integri, solo un pò umidi. Ovviamente è affollato ma i bambini si incastrano ovunque, ed Ennio lo pianto sopra la cabina elettrica appiccicato al finestrino. La meraviglia che speravo di suscitare in lui quando passiamo davanti al Colosseo: “Guarda, è qui che ha combattuto il Gladiatore!” ovviamente non c’è, ma indica con entusiasmo un furgone nero che, secondo lui, è quello di “Casa a Prima Vista” (il programma di Real Time che fa credere loro che sia normale spendere 500000 euro per un bilocale).
A Trastevere le vie lastricate di sampietrini lucidi sono incanalate in locali che ostentano aria turistico decadente che ormai non convince più neanche gli americani.
Leda continua a insistere di volere il sushi, Ennio vuole l’hamburger ma accontento Paolo con il carciofo alla giudia, loro ripiegano con risentimento su pinsa e pasta al ragù.
La premura di arrivare alla mia prossima meta, la Centrale Montemartini, è messa a dura prova dal baretto sull’Ostiense dove dovevamo solo riprenderci con un caffè veloce, in realtà i bambini iniziano a puntare il dito verso ogni dolcezza esposta (eppure mi credevo ormai fuori dal tunnel del me-lo-compriiiii?) per poi piantarsi davanti al bicchiere di acqua con dentro l’arancia, posto sul bancone, e biglietto “Se riesci a mantenere in equilibrio la moneta vinci il caffè”. Neanche si trattasse di vincere mille euro Paolo sacrifica subito le monetine di rame e anche qualche 10cent che scivolano subito sul fondo, usciamo intavolando una discussione sulle leggi fisiche che Ennio risolve attribuendo la colpa alle irregolarità della buccia.
La Centrale Montemartini è amore a prima vista per me, il connubio macchine e dei, come titolavano all’inaugurazione, è armonioso, mi perdo tra il marmo e il ferro, l’etereo e il materiale. I pupi sono attratti dai nudi, sopratutto dalla rappresentazione di ciò che oggi normalmente è nascosto dalle mutande; punti di vista. Anche Paolo guarda in maniera piuttosto distratta non esprimendo commenti, ma ormai sono abituata, il suo interesse si attiva o con una canna da pesca in mano, o nel sottobosco.
Nel museo mi passano davanti frammenti del libro di Aldo Cazzullo, “Quando eravamo padroni del mondo” e mi immagino i loro standard di bellezza, il livello minimo che doveva avere una famiglia per potersi permettere un frammento di eternità scolpito nel marmo e quanti giorni di lavoro potesse richiedere.
Anche se piove e siamo stanchi, non voglio rendere il rientro al B&B troppo lineare e, approfittando della cieca fiducia che ripongono nelle mie doti da condottiera, li navigo verso San Paolo fuori le Mura dove, il mio Paolo, forse per solidarietà di nome, si incuriosisce e vi trasciniamo i bambini reticenti con la promessa di un premio. Sono compiaciuta nell’osservare che la grandezza della chiesa crei un certo effetto in tutti, come la ricchezza delle decorazioni e l’intensità del lapislazzuli del tabernacolo ma, quello che ricorderanno, sarà lo scoppio di una lampada vicino all’abside data dal tocco dell’ala di un piccione.