Tra un passo e l’altro: cronache da marciapiede
di Lina Gioia
“Alza la testa! Guarda davanti a te e non a terra!” mi urlava dal balcone quando passavo per andare a scuola nonna Carmelina. Per lei, che era madre di mia madre, una donna deve sempre camminare a testa alta, guardare dritto davanti a sé ed essere orgogliosa.
E ora mi sembra di sentirla mentre cammino per Sofia attenta a non cadere.
Le cose che ho appreso da mia nonna da bambina sono iscritte nelle abitudini del mio corpo e a volte mi infastidisce la difficoltà di camminare per strada e mi sembra sbagliato guardarmi i piedi. A Sofia i marciapiedi hanno sovente lastre irregolari che fanno inciampare persone incaute e poco attente come spesso sono io.
Camminare in questa città è un’arte un po’ rischiosa. Una danza sbilenca tra mattonelle mobili e paletti monchi, come se il suolo fosse un puzzle lasciato incompleto da un urbanista un po’ perfido.
Se sei una persona distratta — e io lo sono con dedizione — ogni passeggiata può trasformarsi in un piccolo percorso a ostacoli. E la città non fa nulla per nasconderlo. O forse sì, troppo bene.
I marciapiedi, ad esempio, a prima vista sembrano regolari, ordinati. Ma sotto le suole si nasconde un’altra verità: mattonelle ballerine, che si sollevano al minimo tocco; alcune si limitano a muoversi lievemente, altre spruzzano acqua stagnante. E io ci casco. Sempre.
Quelle pietre a forma di palla di cannone che sono delle vere trappole per persone inattente e pensose; o i pilastri frastagliati e bassi lungo la linea del tram su Graf Ignatief che il comune ha installato nel 2018. La gente del posto li chiama “pinne di squalo”, piccoli affioramenti di pietra frastagliati, progettati appositamente per evitare che le persone vi si siedano. Perché sedersi, hanno decretato le autorità, era un uso improprio della proprietà comunale.
Poi ci sono i picchetti di ferro tagliati. Sono ovunque, troncati a quattro, cinque centimetri dal suolo, dimenticati lì, invisibili, fedeli alleati delle mie distrazioni, non li vedi mai finché non li colpisci con un piede o una ruota del trolley.
I bulgari camminano in fila. Sempre. Un retaggio sovietico? Forse, oppure un’andatura involontaria. Tutti seguono una direzione precisa, come se la città avesse delle corsie invisibili. Io, straniera dentro e fuori, sbaglio sempre lato. Finisco nel flusso contrario, mi scontro, vengo evitata con un’espressione di sorpresa. E ogni volta mi sento un granello fuori posto in un ingranaggio perfetto — ma nessuno si arrabbia.
Per fortuna qui la gente ha una pazienza stoica, e ci si scambia sguardi più che parole. Un mezzo accenno con la testa, e si prosegue. Come niente fosse.
E poi, la metropolitana. Sembra semplice: biglietto, oblitero, via. Ma no. Qui il tornello si apre dalla parte opposta rispetto a dove si deve vidimare il biglietto. Sempre destra, mentre la mano — forse per pigrizia — va a sinistra. Ogni volta faccio quel mezzo passo nella direzione sbagliata, ogni volta mi incastro. Una piccola coreografia maldestra per guadagnarmi il diritto di entrare. E lo sbaglio ancora nonostante vivo a Sofia da un po’.
Un’altra insidia sono le porte trasparenti dei negozi. Grandi, in vetro, quando sono aperte verso l’esterno, diventano sentinelle silenziose contro il multitasking. Tu stai camminando, magari stai controllando una notifica, consultando Google maps e BAM. Un colpo secco.
Cammini tranquilla e poi, all’improvviso: una fenditura. Si apre una scala, che scende in un negozio, un bar, una piccola libreria sotterranea. A volte è segnalata, a volte no. E se sei distratta, il rischio di trovarsi due gradini più in basso senza volerlo è reale. C’è un confine sottile tra un ingresso di un negozio e una trappola per pedoni.
E così che ho scoperto i kleks, negozi sotterranei, mentre cercavo un calzolaio per riparare i tacchi alle scarpe, che mi era stato indicato in quella strada. Guardavo in alto le insegne in cirillico dei negozi, quando la mia gamba destra è finita in un’apertura e, prima che potessi capire cosa stava succedendo, mi sono ritrovata in una spaccata improvvisata … per fortuna senza farmi male!
In centro le piazze sono ampie, lastricate in color oro.
Sono gli storici mattoncini gialli, zhaltite paveta, comprati dall’Austria, e realizzati durante il matrimonio dello zar Ferdinando agli inizi del ‘900, non furono più rimossi e oggi sono una caratteristica di Sofia, una pavimentazione gialla su cui si affacciano i principali monumenti della città. Una guida per facilitare il percorso turistico nel centro storico. Tutto bello… finché non piove. Quella superficie diventa una lastra di sapone. Una pista da curling su cui le scarpe perdono ogni dignità. Camminarci è una sfida. Riuscirci con stile, un miracolo.
Poi arriva l’inverno. E la neve. Che sembra romantica — e lo è — fino a quando non inizia a sciogliersi. I marciapiedi si trasformano in piste di pattinaggio clandestine, la città in un videogame: pavimento scivoloso, nemici invisibili sotto forma di ghiaccio sottile. Ogni passo è una sfida. Cammini con un’andatura lentissima e il cuore in gola. E anche se lo sai, anche se ci sei già passata, ogni anno è una nuova sorpresa.
Eppure, cammino. Cammino ogni giorno, anche se so che sbatterò, scivolerò, perderò l’equilibrio. Cammino distratta, ma presente a modo mio.
E la città, nella sua indifferente bellezza, mi lascia fare. Non mi protegge, ma nemmeno mi giudica. Mi lascia inciampare, ridere, rialzarmi. Mi lascia essere distratta.
E io, in fondo, ci sto bene.