Itaca, l'eterno ritorno

testo e foto di Claudio Visentin

Itaca, l'eterno ritorno - Baia di Vathi

Il profilo di Itaca sorge dal mare mentre il traghetto si avvicina lentamente alle sue sponde. L'approdo è modesto: un piazzale polveroso da dove parte una strada che si inerpica sulla collina. Gli autobus carichi di turisti, sbarcati da qualche nave da crociera, aspettano in fila. Uno striscione guarda alle elezioni ormai prossime: "Gli altri li hai già provati. La soluzione c'è, col partito comunista".

Dopo quattro anni sono di nuovo a Itaca, il luogo che più di ogni altro incarna l'idea stessa di ritorno. Itaca è Ulisse, la sua ostinata volontà di ritrovare la piccola isola dopo dieci anni di guerra e altrettanti spesi nel viaggio più grande. Le tracce della sua presenza storica però sono incerte e sfuggenti, anche se verso nord, tra Stavros ed Exogi, alcuni archeologi credono di aver trovato le tracce della reggia dell'eroe omerico. Per rinforzare la tesi le diverse amministrazioni comunali spargono intorno statue di Ulisse di dubbio gusto artistico.

Nonostante la buona volontà del viaggiatore, Itaca non aiuta ad accendere l'immaginazione. Anche la capitale Vathi, distesa intorno a un’ampia baia luminosa, ha semmai l'aspetto di un'amabile cittadina lacustre, circondata dalle colline. Una statua di Penelope è stata collocata davanti a un piccolo supermercato, quasi a ricordarne la vocazione domestica.

Il trascurato museo archeologico della capitale ha poche memorie da esporre. Curioso: qui le dominazioni si sono succedute numerose nei secoli - micenei, dori, romani, bizantini, normanni, turchi, veneziani, francesi e inglesi - eppure hanno lasciato poche tracce del loro passaggio. Nel paesino di Frikes, come nel resto dell’isola, il terribile terremoto del 1953 ha distrutto tutti gli edifici antichi e le case sono state ricostruite in stile moderno con colori brillanti. Sgombrato il campo dalla storia, la natura domina ora incontrastata in tutta la sua bellezza; il mare brilla immobile nella luce calda di settembre. Itaca è soprattutto una popolare meta turistica, con il consueto effetto spoetizzante. La giornata finisce nel piccolo villaggio di pescatori di Kioni, sulla costa orientale, dove tutto sembra invitare a prendersela comoda, a lasciar scorrere tranquillamente quel che resta del giorno.

Per chi ha letto Omero, la disillusione è compagna di viaggio a Itaca: tutto qui? Ci si chiede spesso con una punta di delusione. Ma sarebbe un errore abbandonarsi a questo sentimento. Come potrebbe mai Itaca essere pari alle aspettative generate in noi dal racconto dei poeti? Come potrebbe mai corrispondere alla sua fama immortale?

Lo stesso Ulisse ci è guida verso una lettura più ragionevole. Quando nell'"Odissea" l'eroe descrive la sua isola con desiderio e tenerezza, è al tempo stesso consapevole dei suoi limiti:

"Abito Itaca aprica: un monte c’è in essa,
il Nérito sussurro di fronde, bellissimo: intorno s’affollano
isole molte, vicine una all’altra,
Dulìchio, Same e la selvosa Zacinto.
Ma essa è bassa, l’ultima là, in fondo al mare,
verso la notte: l’altre più avanti verso l’aurora e il sole.
Aspra, ma buona nutrice di giovani e io nulla
più dolce di quella terra potrò mai vedere".

Itaca è la patria, la terra dei padri, e per questo soltanto è irresistibile il suo richiamo, per questo Ulisse ha respinto le allettanti proposte di Calipso e di Circe.

Anche il poeta greco Costantino Kavafis ammonisce il viaggiatore perché non chieda troppo a Itaca, né vi torni troppo presto. Prima deve viaggiare a lungo, commerciando le belle mercanzie negli empori dei Fenici e acquistando la sapienza nelle città degli Egizi. Solo allora potrà volgere la rotta verso Itaca:

"Itaca tieni sempre nella mente.
La tua sorte ti segna a quell'approdo.
Ma non precipitare il tuo viaggio.
Meglio che duri molti anni, che vecchio
tu finalmente attracchi all'isoletta,
ricco di quanto guadagnasti in via,
senza aspettare che ti dia ricchezze.
Itaca t'ha donato il bel viaggio.
Senza di lei non ti mettevi in via.
Nulla ha da darti più.
E se la ritrovi povera, Itaca non t'ha illuso.
Reduce così saggio, così esperto,
avrai capito che vuol dire un'Itaca".

Al di là delle sue qualità, Itaca è necessaria. È il luogo al quale tornare, la premessa di ogni viaggio. Ne "Le città invisibili" di Calvino l’imperatore dei Tartari Kublai Khan chiede a Marco Polo perché non parla mai della sua città, Venezia. Ma il viaggiatore risponde che parla sempre di Venezia, anche quando non la nomina: "Ogni volta che descrivo una città, dico qualcosa di Venezia". Per lui Venezia è la pietra di paragone per capire le altre città. Lo stesso può dirsi di Itaca. Confrontandola con gli altri luoghi, riflettendo su somiglianze e differenze, giungiamo a comprenderli. E al tempo stesso le terre lontane raccontano di Itaca. Chi non si allontana mai da casa, non conosce neppure il luogo che abita, perché non sa distinguerlo dagli altri. Forse tutti i viaggi e tutte le città attraversate ci servono solo per capire l’isola dalla quale veniamo. Forse viaggiamo solo per comprendere Itaca.

 

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